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18 Febbraio 2013 alle 9:29 #11973MAURO650CSPartecipante
Un’altra storiella per farvi passare un pò di tempo! 😀
PARCHEGGIO “DEL MONACOâ€
Alla mia sinistra un grosso cefalo si era avvicinato incuriosito dalla mia presenza. Il suo corpo affusolato e la sua testona piatta e liscia mi erano sembrati un incredibile miraggio in quell’immenso deserto d’acqua. Le temperature rigide di quei giorni avevano abbassato la temperatura in maniera preoccupante. Era già Dicembre, ma non me n’ero nemmeno accorto e non me ne sarei accorto nemmeno quel giorno se non fosse stato per l’incredibile freddo che avvertivo. Il computer segnava inesorabilmente 9°C, troppo pochi per poter sperare in qualche cattura, troppo pochi anche per potermi concentrare e non pensare a quel freddo che come mille spilli mi pungeva il viso. Quel grosso cefalo poteva essere la cattura della giornata e mi avrebbe salvato da un clamoroso cappotto di inizio inverno. Brandeggiai il fucile verso sinistra, sperando e pregando che quel movimento non impaurisse la mia preda. Sentii l’elastico vibrare nervosamente. Quel goffo movimento però non impaurì il grosso cefalo che incredibilmente era ancora lì fermo ad aspettare la mia reazione. Di tanto in tanto questi colpi di fortuna capitano ed allora ecco che ci si trova di fronte un bella cattura facile facile e servita sul piatto d’argento. Quello che avevo di fronte era un bel esemplare, probabilmente una femmina e sicuramente superiore al chilo. La mirai con calma e cautela per assicurarmi di colpirlo in un punto vitale e non dover così correre il rischio di perderlo. Finalmente il pesce capì le mie intenzioni, ma prima che potesse dare un solo colpo di pinna premetti il grilletto. Adesso non chiedetemi quale oscura forza agisce talvolta durante uno sparo, ma quel tiro che sembrava perfetto contro un bersaglio fermo e che a meno di due metri da me sembrava un sommergibile russo è riuscito ad andare inesorabilmente a vuoto. Vidi l’asta sfiorare il grosso cefalo, che impaurito, ma sano e salvo, con poche scodate prese il largo per non farsi rivedere più. Rimasi basito per qualche secondo, incredulo nel constatare di aver sbagliato un tiro facilissimo e praticamente già servito. Imprecai in un nido di bollicine che dalla bocca salirono in superficie.
Uscii, amareggiato ed infreddolito. I piedi sembravano due lastre di ghiaccio e le labbra blu ritrattavano alla perfezione la pazzia di passare tre ore nell’acqua gelida. Erika, che paziente mi aspettava sulla spiaggia con il suo libro preferito in mano, mi venne incontro con l’accappatoio caldo. Mi avvolse in un morbido abbraccio.
-Come è andata?-
-Ho visto solo un cefalone e l’ho pure sbagliato-
-Ma con questo freddo non è il caso che rinunci ad andare? Tanto lo sai che non gira niente in questo periodo-
La temperatura dell’acqua si sarebbe presto abbassata ulteriormente per arrivare a sfiorare i 6°C a febbraio o marzo quando i fiumi avrebbero trasportato a valle l’acqua gelida delle montagne innevate. Non ero più un giovincello e certe mattità si fanno quando si è incoscienti e forti. Quella sarebbe stata l’ultima pescata dell’anno. Avrei appeso la muta al chiodo almeno per qualche mese e mi sarei dedicato ad allenare il mio corpo con sane corsette serali sul lungomare.
-Hai ragione, fino a marzo non si pesca più-
Mi guardò cercando di capire se fossi serio o meno. Lo ero, lo ero davvero e non era lo scotto di quella cattura mancata, né la rabbia e nemmeno tutto quel freddo che da tempo ero abituato a prendere, ma solo una sana e matura decisione. Obiettivamente non ho mai fatto grandi catture nei mesi invernali, anzi nella stragrande maggioranza delle volte il mare in inverno, nella fascia del medio adriatico, si trasforma in un monotono paesaggio lunare. Valeva davvero la pena continuare a prendere tutto quel freddo? Rischiare un’ipotermia o peggio mettere a repentaglio la mia vita in quelle gelide e desertiche acque? Fino ad un anno prima avrei risposto di sì e senza esitare un momento, ma quel giorno non ne ero più convinto. Pesco per diletto, per stare bene, per sentirmi vivo e non ho bisogno di dimostrare nulla a nessuno, nemmeno a me stesso ed allora che senso ha continuare a martoriare il mio corpo in quel modo? Che senso ha correre dei rischi inutili consapevole dei rischi e delle misere catture?
Avevo deciso e non sarei tornato indietro sulla mia scelta, almeno ci avrei provato, con buona pace di mia moglie. Avrei ripreso le vecchie scarpette da corsa ed avrei cercato di smaltire qualche chiletto e magari fare un po’ di fiato che avrebbe fatto comodo per quando sarei ritornato in acqua.
Non avevo mai passato più di un mese lontano dalla salsedine. Sarebbe stato duro non pescare per tre infiniti mesi, ma l’avrei fatto, perché pescare non è più importante della mia vita e poi mi sarei allenato affinché l’anno successivo sarebbe stato migliore del precedente.
La sera seguente, come promesso ero già sul lungomare di Francavilla, pronto per una corsa. L’aria era ghiacciata e da nord soffiava un insistente vento che accarezzava le cime delle grandi palme che contornavano la riviera. Il freddo sembrava non volermi proprio abbandonare. Mi allacciai con calma e forse, anche con poca voglia, l’impermeabile e cominciai a riscaldarmi con qualche esercizio di stretching imparato nelle ore di ginnastica delle scuole superiori. Dopo aver sciolto i muscoli delle gambe iniziai la mia lenta corsa verso il grande pontile ad un paio di chilometri da dove avevo parcheggiato la macchina. La prima giornata di allenamento terminò dopo mezz’ora in un modo indicibile. Ero sudato dalla cima dei capelli fin sotto le mutande. Nonostante i miei sforzi ero riuscito a raggiungere il pontile, percorrerlo fino alla fine ammirando il mare nero che scintillava al chiarore della luna e tornare indietro alla macchina, stramazzando quasi come avessi combattuto un incontro di boxe. Era solo il primo allenamento, ma non credevo potesse essere così pesante e per di più non credevo di aver così poco fiato. I miei polmoni sembravano noccioline che non riuscivano a contenere tanta aria quanta me ne occorreva. Si sarebbero aperti, ma avrei dovuto allenarmi costantemente e con dedizione. Giorno dopo giorno, metro dopo metro cominciai a conquistare fiato e muscolatura e pian piano i miei tempi e le mie percorrenze aumentarono notevolmente. Scoprii che subito oltre il pontile esisteva un percorso pedonale che si affacciava direttamente sul mare. Mi piaceva correre lì. Il frastuono delle auto era proprio dietro la fila di case che separava la strada comunale dal percorso pedonale, ma sembrava infinitamente lontano. Alla mia sinistra solo il mare scuro come la notte e tutt’intorno la pace di una riviera invernale abbandonata a se stessa e senza il caotico andirivieni di turisti.
Tra le tante case, per lo più fatiscenti palazzine fronte-mare per i turisti, ve n’era una che mi colpiva particolarmente ed in qualche modo mi inquietava. Era uno scuro palazzone con le finestre rotte e tappezzato di assi di legno messi alla rinfusa. L’intero edificio era stato invaso dalle piante rampicanti che sembravano divorarlo come in uno di quei film horror degli anni settanta. Semicoperto dalle piante vi si scorgeva una simpatica targhetta realizzata a mano: PROF.ESSA IOLANDA SARTORI E FIGLIO ANTONIO DEL MONACO. La porta d’ingresso era sempre semiaperta e di tanto in tanto vi vedevo una luce al suo interno, anche se non saprei dire con certezza se si trattasse della luce di una candela o di una lampadina. Sul cancelletto campeggiava un’insegna scolorita dal sole e dalle intemperie: PARCHEGGIO DEL MONACO, CHIAMARE IL NUMERO ….
Con tutta probabilità il proprietario di quello stabile affittava per due soldi il suo parcheggio privato a qualche turista o residente che nei mesi estivi avrebbe faticato non poco per trovare un buon posto libero vicino la spiaggia. Quella casa era una tappa obbligatoria del mio consueto giro e non nego che spesso desideravo io stesso curiosare al suo interno per vedere se ci fosse qualche luce e scoprire quale orribile mostro vi si nascondesse al suo interno.
Senza accorgermene, giorno dopo giorno il mio fisico era cambiato. Avevo sceso in poche settimane già qualche chilo di grasso e la mia resistenza era decisamente aumentata. Quello che non passava mai però era la mia voglia di immergermi e rimanere qualche ora sospeso in quell’immenso blu, anche senza pescare nulla, anche solo per il piacere di stare a contatto con quell’acqua salata. Il desiderio era più forte quando, correndo, vedevo il mare calmo luccicare riflettendo le mille stelle del cielo terso. -Sei gradi- mi ripetevo sperando che quel pensiero aiutasse a far scomparire quell’insana voglia.
Una domenica mattina, mi svegliai presto come spesso mi accadeva. Erika dormiva ancora e così decisi di farmi una corsetta mattutina per risvegliare i muscoli e tornare a casa in tempo per poter fare colazione con lei. Parcheggiai al mio solito posto, ad un paio di chilometri dal pontile di Francavilla, e cominciai la mia corsa. Il sole era tiepido nonostante fosse ancora metà febbraio e la settimana precedente una perturbazione proveniente dai balcani portò neve anche a basse quote. Il mare piatto come una tavola e azzurro come il cielo sovrastante fu una fitta al cuore. Correvo, ma in realtà pensava a quanto sarebbe stato bello essere in acqua in quel momento.
-Torno a casa, prendo l’attrezzatura e mi faccio un tuffo-
-Sei gradi, dannazione, massimo sette-
-Giusto un’oretta, magari esce una spigola per la cena-
-Sì, magari una spigola ibernata-
-Torno a casa, faccio colazione con Erika e poi la convinco a venire in spiaggia. Solo un’oretta, una sola e poi esco-
Resistere a quel mare limpido, come non lo vedevo da almeno un paio di mesi, era impossibile. Mi chiamava insistentemente e più correvo, più mi ripetevo che stavo perdendo tempo prezioso, che ogni secondo passato a correre era un secondo tolto al mare. Tuttavia anche quella inconsueta attività podistica mi aveva conquistato ed affascinato. Correre era diventato un bello sfogo dalle tensioni quotidiane e poi farlo a due passi al mare, potendolo ammirare di notte, osservare i gabbiani ed ascoltare quel meraviglioso suono che solo le onde sanno donare era piacevolmente appagante.
-Raggiungo il “parcheggio del Monaco†e giro- pensai.
-Per le dieci potrei essere ad Ortona e per le undici uscire dall’acqua. Sì, farò così-
Il parcheggio era a circa un chilometro ed avrei impiegato meno di dieci minuti per raggiungerlo. Avvicinandomi vidi una grossa sagoma ferma proprio davanti quel palazzone in decadenza. Quando fui abbastanza vicino, riuscii anche a percepire delle grida. Qualcuno sbraitava qualcosa che non riuscivo a comprendere perfettamente. Sul percorso pedonale vi erano altri podisti che come me avevano deciso di approfittare della bella giornata per un allenamento sulla riviera.
Quando fui a pochi metri dal “parcheggio del Monacoâ€, vidi un grosso energumeno sporco e trasandato che stendeva panni al sole. Aveva quattro grossi secchi, di quelli che spesso usano i pescatori per riporvi i crostacei o le seppie, pieni d’acqua e stracci che suppongo fossero vestiti. Il puzzo di quegli indumenti si avvertiva anche a distanza. Lo vidi rientrare in casa, passando da quella porta semiaperta che ormai era ridotta ad un misero brandello di legno tenuto su da quattro chiodi. Era lui il mostro che abitava quell’edificio, quella creatura che la mia fantasia si era sempre figurata come un essere malefico dalle più bizzarre forme e dai poteri sovrannaturali. Eccolo, era appena passato davanti ai miei occhi con lo sguardo assente di quelli che hanno appena subito un lavaggio del cervello, avevo avvertito il suo odore di lercio e per qualche secondo tenni quel fastidioso puzzo sotto il naso come ne fossi stato impregnato. Mi dimenticai di girare, come se quella visione fosse stata più importante della pesca. Continuai oltre per almeno un altro chilometro, pensando e fantasticando su quell’uomo, come un vecchio pettegolo che non sa che altro fare se non spiare e criticare. Quando girai avevo già corso per trenta minuti mi ci sarebbero voluti almeno altrettanto per tornare alla macchina e per di più sarei dovuto ripassare un’altra volta di fronte il “parcheggio del Monacoâ€. Davanti a me due podisti sessantenni procedevano a passo spedito parlando ad alta voce. Quando fu di nuovo vicino il palazzone sentii nuovamente delle grida. Adesso ne ero certo, era quell’omone che avevo visto precedentemente. Ora sentivo con chiarezza anche quello che blaterava a voce alta.
-Ci bombarderanno! Ma lo capite o no? La terza guerra mondiale è già cominciata! E’ già cominciata! Obama l’ha iniziata, è stato lui! Lo capite?-
Era suonato e su questo non vi erano dubbi, ma diceva quelle cose in modo così deciso e sicuro che per un istante vi trovai un fondo di verità .
I due podisti sessantenni alzarono un braccio in direzione di quell’uomo salutandolo:
-Antò, statti calmo, sennò tornano a prenderti di nuovo-
Finalmente avevo la prova e la certezza che quell’uomo era Antonio Del Monaco, il proprietario di quella casa ed avevo la certezza che fosse davvero matto da legare.
Provai un senso di pietà e compassione per quell’omone, che si andò accentuando quando senza volerlo venni a conoscenza della sua storia.
Uno dei due arzilli corridori in tutina aderente chiese al suo compagno:
-Ma che è successo ad Antonio per diventare così?-
La mia curiosità mi spinse ad accelerare il passo per poter ascoltare i loro discorsi.
Il padre di Antonio era un pescatore del luogo ed aveva fatto una piccola fortuna ai tempi d’oro della vendita del pesce, la mamma, la signora Iolanda Sartori era un’insegnante molto conosciuta e ben pagata. Il signor Del Monaco, che aveva uno spiccato fiuto per gli affari aveva investito tutti i loro risparmi nell’acquisto dell’intero palazzone per poter affittare a sua volta quattro dei cinque appartamenti che comprendeva. Si era riservato per lui e la sua famiglia il grande attico. Durante una battuta di pesca, il signor Del Monaco si era portato con sé il figlio Antonio, ormai sedicenne, per potergli insegnare i segreti della sua professione e farlo interessare al lavoro ed al mare. Erano partiti una sera di gennaio, con il mare piatto come l’olio ed un cielo terso e senza nubi. Ad oltre quindici miglia a largo avevano calato le lenze ed aspettavano il passaggio di qualche bel pesce da rivendere al mercato locale. Il signor Del Monaco era uno dei migliori pescatori del posto. Conosceva il mare meglio di casa sua, era il classico lupo di mare, marinaio e pescatore d’altri tempi. Questo però non bastò dal non commettere un errore fatale. Nonostante a bordo avesse tutti gli strumenti necessari per un’accurata previsione meteo il signor Del Monaco non fece in tempo a prevedere una violentissima perturbazione che incombeva proprio verso la loro posizione. Quando comandò al figlio di azionare i motori era ormai troppo tardi ed il vento iniziò a soffiare con una forza inaudita. Si alzarono onde alte oltre quattro metri, impossibili da contrastare con la loro umile imbarcazione da pesca. Sballottato da una parta all’altra, probabilmente nell’intento di risalire le lenze, il signor Del Monaco perse l’equilibrio e finì in mare. Immaginatevi adesso voi, con in mare in tempesta, a quindici miglia a largo, nel nero più nero paragonabile solo a buio degli abissi, in un’acqua gelida quasi quanto quella polare, combattere per la vostra vita, aggrappati ad una misera ciambella rossa ed una speranza. Il giovane Antonio, spavaldo ed incosciente si lanciò in mare senza esitazioni, pronto a salvare suo padre, senza minimamente pensare che anche se fosse riuscito a raggiungerlo non avrebbe avuto alcuna speranza di riportarlo sulla barca, che di lì a poco sarebbe affondata comunque. Antonio ed il padre passarono l’intera notte in balia del mare, in quell’acqua fredda e tumultuosa. Il signor Del Monaco scivolò tra le onde molto presto. Due ore furono più che sufficienti per mandarlo in ipotermia, miracolosamente Antonio resistette fino all’arrivo dei soccorsi, il mattino seguente. Da allora quel vispo e sveglio ragazzo, non ragionò più come prima. Cadde inizialmente in un silenzio tombale, poi iniziò a dire frasi senza senso, finendo ben presto in un manicomio, passando da un istituto all’altro a causa del suo comportamento aggressivo e violento. Quando anche l’anziana mamma Iolanda morì, Antonio aveva ormai fatto grandi miglioramenti ed era quasi totalmente autosufficiente. Con il tempo era riuscito a sedare la sua aggressività ed anche il doloroso ricordo di quella notte. Gli fu concesso di andare a vivere nella casa di famiglia a patto di ricevere quotidianamente la visita di un infermiere e così fece e credo sia tutt’ora così.
Senza rendermene conto avevo origliato per più di venti minuti i discorsi di due perfetti sconosciuti, avevo scoperto la strana storia di quel palazzo e di quell’uomo che vi abitava dentro. Ero arrivato alla macchina, i due sessantenni proseguirono la loro corsa, io mi fermai stremato dalla fatica e da quella triste storia.
Provai un forte senso di disagio ed una inconsueta commozione. Quanto può dare il mare e quanto può togliere allo stesso momento. La sua incontenibile forza è pari solo alla sua incredibile bellezza ed al fascino delle sue calme e calde acque.
Mi rimisi in macchina guidando verso casa, sudato come non mai, ma con un brivido gelido dietro la schiena. Pensai alla mia pesca e per un momento provai una sensazione di inquietudine. Mi immaginai solo, nel buio assoluto in un’acqua così fredda da togliere il respiro. Cercavo qualcosa, qualcuno, poi il silenzio assoluto, chiusi per un momento gli occhi e fu solo il clacson di una macchina a riportarmi alla realtà . Perso nella mia fantasia avevo appena invaso una corsia e stavo per provocare un brutto incidente. Tornai in me, lasciandomi scivolare via quell’immagine terribile dalla mente.
Quel giorno non andai in acqua, nemmeno il giorno successivo e neanche il mese dopo. Tornai a pescare solo agli inizi di aprile, quando l’acqua superò i 12°C, senza alcun rimpianto, senza alcuna vergogna. Il rispetto per il mare e per la propria vita sono cose che non si imparano a scuola, né su un libro, ma negli occhi di un uomo che ha perso tutto, nelle crepe dei muri che cadono a pezzi, nei racconti di chi il mare lo ama come la più bella amante e lo teme come il più impavido nemico.18 Febbraio 2013 alle 10:08 #295579lorenzino82PartecipanteFAN-TA-STI-CO
BRAVO!!!!!
Racconto stupendo e con una morale che tutti dovremmo tenere a mente 😉18 Febbraio 2013 alle 10:13 #295580MrCicoSubPartecipantemolto bello… 😉
18 Febbraio 2013 alle 10:30 #295581Stabben7PartecipanteDavvero un bel racconto,con una morale significativa 🙂
18 Febbraio 2013 alle 19:12 #295582fleadPartecipanteBravo Mauro, ogni tanto ci delizi con queste perle.. continua così 😉
18 Febbraio 2013 alle 20:26 #295583submaroPartecipanteChe dire….un racconto stupendo bravo Mauro, le tue storie ci fanno sognare 😉
21 Febbraio 2013 alle 10:51 #295584marioPartecipantene è valsa veramente la pena spendere qualche minuto per poter leggere il tuo racconto !!!
22 Febbraio 2013 alle 8:00 #295585zavorraPartecipanteGrazie, un bellissimo racconto per iniziare un venerdì mattina un pò grigio con poesia.
Z
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